ANDREA BERTON, LA FORZA DELLA DETERMINAZIONE

Berton ricorda che quando era bambino, a 8 o 10 anni, i genitori lo portavano a mangiare abbastanza spesso al ristorante. Lui si metteva davanti alla porta della cucina, tutti questi cuochi in movimento lo incuriosivano molto. Anche se in quegli anni faceva sci a livello agonistico, e pensava che da grande avrebbe continuato, verso i 15 anni ha cambiato idea e optato per la cucina.

 

Come mai?

 

Forse ce l’avevo nel DNA. Erano tempi in cui nessuno considerava il mondo dei cuochi come oggi. Eppure a me interessava molto

 

La sua formazione?

 

Dopo l’istituto alberghiero, il primo ristorante in cui ho lavorato è stato quello di Gualtiero Marchesi. Mi ero documentato per capire chi fosse il migliore e mi avevano detto: Gualtiero Marchesi, 3 stelle Michelin. Io non sapevo nemmeno cosa fossero le stelle. Marchesi era una persona di grande cultura, oltre che molto piacevole, e a me ha lasciato veramente molto. Un incontro fondamentale per la mia crescita professionale.

 

 

È stato facile arrivare a Marchesi?

 

Ero partito da Udine in treno con le mie valige. Al ristorante lavorava un ragazzo che conoscevo e che aveva avvertito che sarei arrivato. Niente di più. Ho chiesto di parlare con lo chef di cucina. Marchesi non c’era. Questa persona mi accoglie e mi chiede il curriculum. «Non c’è nessun curriculum, ho appena finito di studiare, parto da qui.» Mi risponde: «Mi lasci i dati, la chiameremo noi se avremo bisogno.» « No, no, io vorrei iniziare a lavorare, ho tutto quello che serve, mi metta alla prova… » Non c’è verso, era un osso duro. Poi la fortuna entra Marchesi, esprimo tutta la mia ammirazione nei suoi confronti e ripeto: «Vorrei lavorare qui, ho le mie borse, le mie divise, libretto di lavoro, libretto sanitario… .» Allora  Marchesi dice allo chef: «Fallo provare, se non va bene lo mandi via.» Erano le 4 del pomeriggio di un venerdì. Un po’ spiazzato, lo chef concede: «Lunedì presentati alle 9 di mattina.» « Cioè, mi fa tornare a Udine? No, io voglio iniziare subito.» Esausto, cede: «Va bene, inizia subito.»

 

 

La tenacia premia. Quale è sta la prima prova, il test per valutare le sue capacità?

 

Togliere le spine al salmone. Perché a quel tempo Marchesi proponeva questo piatto importante, con il salmone marinato all’aneto.

 

 

 

 

E lei ha spinato bene…

 

Si, stavo attento a sfilarle in modo che non si rompesse la carne del pesce. Non mi hanno mandato via.

 

 

Marchesi incoraggiava a girare il mondo!

 

Dopo 4 anni passati da lui, l’avrei fatto a prescindere, il mio obiettivo era lavorare da Alain Ducasse, al ristorante Le Louis XV. Anche lì sono rimasto 4 anni. È stata l’esperienza più intensa, più legata al mio stile di lavoro di manager, di chef imprenditore. È fondamentale avere anche questo tipo di formazione perché serve per gestire tutti gli aspetti del funzionamento di un ristorante, le persone, i fornitori… un mondo complesso, che la gente non percepisce pienamente.

 

 

Sono colpita infatti dal numero di persone che lavorano al ristorante Berton.

 

15 persone. Giovani, 25/30 anni.

 

 

Quali sono le figure più importanti che la supportano?

 

Fondamentale è mia moglie, che non lavora con me direttamente però mi segue, per esempio quando viaggiamo, e succede spesso per motivi professionali. Poi tutti i collaboratori sono determinanti.

 

 

Parliamo adesso di uno degli ingredienti che contraddistinguono la sua cucina, il brodo…

 

Beh, l’idea mia era di utilizzare il brodo, che normalmente è una base per le cotture, come ingrediente principale nei piatti.

 

 

 

 

Dignità da protagonista?

 

Esatto, un protagonista. Quindi ci sono dei brodi o versati nel piatto per completarlo oppure serviti in un bicchierino da bere. E devo dire che ha riscontrato un buon successo con il pubblico che, quando arrivano i piatti, rimane colpito dalla presentazione o dall’abbinamento.

 

 

Riguardo ai menu che propone. Quali criteri di fondo?

 

Pulizia nel piatto, massima immediatezza nel percepire il gusto alla vista, quindi quando vedo il piatto già ne intuisco i sapori. Questa è la base della costruzione del piatto.

 

 

 

 

Se lei dovesse andare in un ristorante altrui, che menu sceglierebbe?

 

Lascerei fare allo chef, mi affiderei completamente, perché è giusto così. Quando si va in un posto per fare un’esperienza di cucina, di sapori, anche di filosofia dello chef, bisogna lasciarsi guidare.

 

 

Se arrivasse da Palermo un ragazzo con la valigia e chiedesse di essere subito messo alla prova, lei lo accontenterebbe?

 

Se ci fosse lo farei, ma nessuno ha avuto questo coraggio, però sarebbe una caratteristica apprezzabile.

 

 

Lei voleva proprio essere qui. Perché Porta Nuova?

 

Quando vedevo nascere questo posto mi dicevo “se aprirò un ristorante a Milano lo farò qui”. Cercavo un luogo che non avesse storia. Non doveva avere collegamenti con nulla e questo era l’unico che non fosse legato al passato. Era quello che cercavo io. Porta Nuova secondo me è il nuovo centro di Milano.

Paola Chessa Pietroboni
direzione@cibiexpo.it

 

 

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