ALLA SCOPERTA DELLA FINOCCHIONA

La regina dell’antipasto toscano è un insaccato di carne di maiale, a grana grossa.

Le prime testimonianze storiche ci giungono da Plinio il Vecchio: la Toscana, a quel tempo Etruria, era terra ideale per l’allevamento di maiali, e la qualità della loro carne era impareggiabile. Nata nel cuore della valle del Chianti, la paternità della Finocchiona è contesa tra Campi Bisenzio e Greve in Chianti. Dal 2015 si è guadagnata il riconoscimento IGP, Indicazione Geografica Protetta.

 

 

 

 

Storia, partiamo dal nome…

Le sue origini lontane e curiose risalgono all’epoca medievale, quando dall’India arrivano le prime spezie, costose e difficili da reperire. A quei tempi, i “norcini”, ovvero gli addetti alla macellazione e alla lavorazione della carne di maiale, iniziano a usare i semi di finocchio per insaporirla.

Esiste, però, anche un’altra motivazione: l’aroma forte e pungente del finocchio selvatico può mascherare una carne non di massima qualità grazie alla presenza di anetolo, una sostanza in grado di anestetizzare il palato così da alterare la percezione. Non è certo un caso che il termine “infinocchiare” sia sinonimo di raggiro e di imbroglio. È conosciuta anche come “salame dei furbi” proprio per la sua capacità di camuffare i sapori. Caratteristica che è stata sfruttata negli affari; infatti, i contadini l’abbinavano a partite di vino non particolarmente pregiate, così da indurre i nobili ad acquistarle in ogni caso. Questa idea è ben espressa nel proverbio del Chianti ancora in uso: “Come gli abili parrucchieri sono capaci di far sembrare piacente anche la donna più brutta, così l’aroma della finocchiona è capace di camuffare il sapore anche del più imbevibile vino”.

Sono molti i documenti che attestano il suo nome. Nel 1875 entra nel Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani e, pochi anni dopo, viene inclusa anche nel Dizionario del vernacolo fiorentino di Pirro Giacchi.

L’Accademia della Crusca inserisce il termine nel suo Vocabolario nel 1889, evidenziandone il legame con il territorio. Dobbiamo però attendere il 1956 perché la Treccani gli riconosca un posto nel Dizionario Enciclopedico Italiano definendola “Salume tipico toscano”.

Si dice che Niccolò Machiavelli ne fosse ghiottissimo, ipotesi argomentata da diverse citazioni nei suoi scritti. Inoltre, sembrerebbe esser stata molto apprezzata dai membri della famiglia de’ Medici e da Leonardo da Vinci.

 

Variante

Ne esiste una chiamata “Sbriciolona”, che si differenzia per una diversa consistenza della pasta: è, infatti, più grossolana e morbida tanto da sbriciolarsi. Ha inoltre una stagionatura molto più breve (4/5 settimane).

 

Produzione e zona

Da disciplinare, la sua produzione è rigorosamente regolamentata.

Viene realizzata con parti scelte di carni di suini allevati in Italia per almeno 9 mesi. I tagli più usati sono: spalla disossata e sgrassata, rifilature di prosciutto, straculo, magro di pancetta e di gola, carne di coppa e guanciale. Questi vengono macinati insieme a sale, pepe, aglio e vino rosso (circa un litro per ogni 100 kg di impasto) e semi di finocchio.

Dopo l’insaccatura in un budello naturale di manzo, viene messa a riposare in un ambiente tra i 12° e i 25° per l’asciugatura.  A questa fase segue quella della stagionatura, che avviene a temperature tra gli 11° e i 18° e con un tasso di umidità compreso tra il 65% e il 90%, condizioni essenziali per raggiungere la consistenza ideale. La durata varia a seconda del peso e della pezzatura.

Ha una forma cilindrica e una consistenza morbida nonostante la stagionatura.

Il colore cambia a seconda delle parti usate: rosso-carne per quelle più magre, bianco-rosato per quelle più grasse.

La zona di produzione è la regione Toscana, a esclusione delle isole.

 

Gusto, consumo e conservazione

Ha un sapore unico, dato dai semi o dai fiori usati nell’impasto, un gusto selvatico con un leggero sentore di aglio e intense note speziate.

Il modo più comune di gustarla è a crudo, accompagnata dal pane: l’ideale è quello sciocco, tipico toscano quasi privo di sale, perché bilancia la sapidità del salume.

Spesso viene abbinata a formaggi come il Pecorino Toscano DOP stagionato o semi-stagionato.

Può essere consumata anche cotta, per esempio in un primo piatto come i pici con fave e pecorino.  Ottima da gustare anche abbinata alla polenta.

La possiamo trovare in varie pezzature: intera, a tranci, già affettata, in porzioni più o meno piccole o in formati giganti da gastronomia.

Per non alterare le caratteristiche di freschezza e morbidezza, l’ideale è tenerla in luogo fresco o in frigorifero e ricoprirla con un panno.

Oggi caposaldo della cucina toscana, la Finocchiona IGP è un prodotto molto amato, identitario e rappresentativo della tradizione gastronomica del nostro Paese.

A questo punto, decidete voi se farvi “infinocchiare” o meno…

Alessandra Meda

alessandra.meda@cibiexpo.it

 

 

Curiosità

Una chicca per gli amanti della storia: durante la Santa Inquisizione, le piante di finocchio venivano utilizzate sul rogo, dove venivano condannati i colpevoli di stregoneria. Un insieme di rami di questa pianta aveva il compito di mondare le carni impure.

 

 

 

 

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