ALAIN CHAPEL, IL SIGNORE DI MIONNAY

Chi ci segue da tempo conoscerà certamente Toni Sàrcina, uno degli storici collaboratori di CiBi, enogastronomo e storico della cucina e dell’alimentazione. Insieme alla moglie Terry firma la rubrica di cucina di Famiglia Cristiana, è presidente della Commanderie Des Cordons Bleus de France ed è titolare del Centro Culturale di Enogastronomia Altopalato di Milano, sede di una celebre scuola di cucina. In questo articolo, ci parla di un grande personaggio della cucina francese degli anni ’80 che incise in modo concreto nello stile di molti campioni d’Oltralpe, tra cui Alain Ducasse.

 

 

 

 

Conobbi Alain Chapel quando era già “tristellato Michelin” e protagonista della “Nouvelle Cuisine“: andai a trovarlo per un’intervista, a Mionnay, un bel Borgo a circa 19 km da Lione. Ma, per comprendere meglio di chi si trattasse, è utile raccontare, almeno sinteticamente, la sua storia.

 

 

Le origini e il successo

 

Era nato a Lione nel 1937, la mamma era ingegnere chimico mentre il papà maitre d’hôtel al Café Vettard, uno dei più celebri ristoranti di Lione.

Nell’imminenza della seconda guerra mondiale, con spirito previdente, Roger Chapel, il padre, acquistò un bistrò di campagna a Mionnay; l’insegna era “Mère Charles” che diventerà, 32 anni più tardi, il celebre “Alain Chapel Restaurant“.

 

Nel 1952, quando Alain frequentava la scuola superiore, iniziò a dimostrare un grande interesse per la cucina e i genitori lo spinsero a lasciare gli studi per entrare nella gastronomia di qualità. Cominciò così il suo vero apprendistato, in un famoso locale, “Chez Juliette“, con un grande maestro, Jean Vignard. Il rapporto durò quattro anni, un periodo che, come dirà poi Alain Chapel, lo segnerà positivamente per tutta la vita. A renderlo un vero fuoriclasse, fu però l’ulteriore stage di un anno dal grande Fernand Point di Vienne, uno dei più qualificati esponenti dell’allora nascente Nouvelle Cuisine alla quale aderirà successivamente anche Alain. Persino il servizio militare contribuì alla formazione professionale di Chapel poiché, per una fortunata combinazione, venne assegnato, quale chef personale, a un generale rivelatosi poi raffinato gourmet; così, come disse poi lo stesso Alain, più che l’arte militare, apprese quella dell’alta cucina.

 

Dopo altri periodi di perfezionamento in diverse case qualificate, tornò a Mionnay, nell’azienda di famiglia di cui prese le redini dopo la morte del padre, con un programma di grande sviluppo che nel giro di qualche anno fece conoscere la “Maison Chapel” in tutto il mondo.

Il locale, già gratificato della prima stella dal 1953, sotto la guida di Alain ottenne la seconda stella nel 1969; nel 1973 l’apoteosi con la terza stella e i quattro cappelli, mentre la Guida Gault&Millau gli attribuì il punteggio massimo con 19/20.

 

 

 

 

La cucina, una filosofia di vita

 

Arrivai a Mionnay in una bella giornata di sole, fu facile trovare la “Maison, una bella costruzione, con un aspetto quasi aristocratico. All’interno, arredato con gusto e gran classe, tutto era disposto in modo razionale: belle tovaglie, raffinato vasellame, comode sedie e spazio fra i commensali. Mi fecero accomodare a un tavolo apparecchiato per due e mi offrirono un aperitivo: ottimo Champagne, con alcuni stuzzichini che definire deliziosi sarebbe riduttivo. Come d’abitudine quando vado alla scoperta di autori di alto lignaggio, chiesi se potessi vedere le cucine senza disturbare e il maitre mi accompagnò nella spettacolare cucina: Chapel, in piena attività, stava rimproverando un capopartita per una portata in uscita evidentemente per lui non soddisfacente; fece ricomporre il piatto in un minuto per mantenerlo caldo e, solo allora, diede l’ok al servizio.

 

Mi vide, mi fece cenno di avvicinarmi e si presentò. Aveva una voce bassa che faceva trapelare la sua confidenza con le sigarette, era alto, elegantissimo nella sua divisa da chef, l’unico a non portare la “toque” (cappello da cuoco) in una squadra di circa una ventina di addetti, per quegli anni, numero assolutamente insolito. Mi invitò a tornare a tavola per assaggiare alcune sue specialità poiché, disse «non si può intervistare un cuoco senza averne sentito il sapore». Andai al tavolo e mi arrivarono due o tre cose di bontà inenarrabili, una su tutte, il cosiddetto “cappuccino”, una spettacolare crema di funghi che, all’apparenza, sembrava un cappuccino italiano, un omaggio di Chapel all’ospite. A questo punto arrivò al tavolo Alain in persona con una bella casseruola di rame e lì, davanti a me, “in diretta” preparò un’eccezionale aragosta con crema mai più assaporata in tutta la mia carriera di assaggiatore. Le dosi erano due, Alain sedette accanto a me e, tra un boccone e l’altro, mi spiegò che, per lui, la cucina è molto più di una raccolta di ricette (frase che diventerà il titolo della sua più importante pubblicazione) ma una filosofia di vita nella quale, chi ha la fortuna e la capacità di poter trasformare le materie prime in piatti, deve prima di tutto selezionare i migliori prodotti di stagione  e poi, con perizia e buon gusto, assemblarli per il piacere di chi li gusterà.

Il resto del pranzo mi convinse di aver conosciuto un talento fuori dal comune, indipendentemente dai punteggi e dalle stelle. Prima di partire, andai a salutarlo nel “fumoir”, un bel salotto con divani di pelle di un grande camino dove vidi che i clienti passavano a salutarlo con deferenza e ammirazione. Tornai più volte a trovarlo in seguito; era nata una bella amicizia fra noi che, purtroppo, non durò troppo a lungo poiché Alain ci lasciò, improvvisamente e davvero prematuramente, creando un vuoto difficilmente colmabile.

 

 

Toni Sàrcina

altopalato@altopalato.it

www.altopalato.it

 

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