Racconto dell’Afghanistan, Paese smarrito a cui i fratelli Ahmadi aspirano, dividendosi tra ristorazione, attivismo e cultura.
Forse conoscete Ahmed e Zhara. La cronaca ha seguito in questi ultimi mesi il faticosissimo, pericoloso e sofferto abbandono dell’Afghanistan da parte di Zhara, fuggita dal nuovo regime talebano. Per lei è stato “un lutto” lasciare il Paese in cui è nata e in cui – imprenditrice e attivista – si è sempre battuta per i diritti delle donne. Il 19 agosto è atterrata a Roma e ora è a Venezia, dove suo fratello Ahmed vive da 15 anni.
Come mai Venezia, Ahmed?
Sono arrivato il primo settembre 2006, e ogni anno, in quella data, festeggio l’anniversario veneziano. Facevo parte di un’équipe invitata alla Mostra del Cinema per presentare un documentario e un cortometraggio (Maama, Buddha, la ragazza e l’acqua), e avevo intenzione di dedicarmi al cinema, ma ho dovuto presto cambiare piani di vita… A causa del cortometraggio abbiamo ricevuto minacce dal nostro Paese e ho deciso immediatamente di chiedere asilo politico in Italia.
La storia è lunga. Hamed, rifugiato politico, è stato scelto come mediatore linguistico e culturale, e ha iniziato a lavorare in un Centro di accoglienza, un luogo molto bello, decentrato e verde, dove presto è stato deciso di organizzare feste, con lo scopo di attrarre persone.
Persone giovani?
Ero con una quarantina di ragazzi tra i 16 e i 18 anni – i minori non accompagnati del Centro – afghani, iraniani, pakistani, bangladesi, siriani, iracheni e turchi, e abbiamo pensato di cucinare noi alle feste. Non eravamo cuochi, ma un collettivo di profughi, con esperienze e nazionalità variegatissime, e ci piaceva l’idea di costruire un menu che raccontasse attraverso il cibo i nostri diversi viaggi da sfollati. Viaggi illegali, con tantissimi confini da passare clandestinamente, molto costosi (6-8.000 euro), punteggiati di soste necessarie a racimolare i soldi sufficienti a ripartire. Soste che per tanti sono state anche le prime esperienze culinarie autonome della vita, che hanno generato pietanze meticce, frutto della fusione di gusti e tradizioni della casa lasciata con i prodotti della terra straniera.
Nato il nostro menu, è venuto naturale pensare all’apertura di un locale, il primo Orient Experience, spazio di incontro culturale, ritrovo e ristorante in cui proporre in modo stabile questi “piatti-viaggio”. Ancora oggi non mi sento tanto un cuoco quanto un regista, perché in fondo anche tutto questo è un film.
Dimmi almeno due o tre ingredienti tipici della cucina afghana.
Tante verdure come in Italia – melanzane, patate –, riso, prevalentemente basmati, e carne d’agnello.
Oggi quanti posti avete aperto in Italia o nel mondo?
Oltre a quello di Venezia ne avevamo uno a Catania, ma all’inizio del lockdown abbiamo deciso di chiuderlo. Tre sono a Kabul: l’Orient Experience III e i due ristoranti di mia sorella. Con quelli io non c’entro niente. Il suo lavoro è molto più raffinato.
Zhara, raccontami tu.
Ho 32 anni, e in Afghanistan avevo 2 ristoranti, Cucina di Sahar (soprannome di Zhara a Kabul) e Ospite di Sahar. Ma non ero solo un’imprenditrice; ero anche un’attivista e mi battevo per i diritti delle donne e dei bambini di strada. I miei stessi ristoranti erano di fatto degli hub culturali, in cui facevamo musica dal vivo, utilizzando strumenti tipici afghani, avevamo un cinema per le famiglie, una biblioteca. Servivamo piatti afghani e anche persiani. Avevamo avviato l’attività all’inizio del Covid, consegnando piatti a domicilio e impiegando da subito 6 persone. Oggi Cucina di Sahar è chiuso purtroppo, mentre il secondo – dal momento che tante donne sono vedove e non possono lavorare – vorrei aprirlo solo per loro e renderlo un luogo di lavoro femminile, forse così quegli str… dei talebani non potranno bloccarlo. Siamo in una fase di studio, legale e diplomatico. Vedremo.
Finché lo scenario non cambierà, lavorerete insieme qui, tu e Zhara?
Non lo so. Zhara è una donna molto indipendente e mi ha già detto che non vuole lavorare per me.
Per te lo capisco, ma con te?
Vedremo; certamente devo fare in modo di renderla autonoma al più presto possibile. Non voglio litigare più su questo fronte…
Ridi. Ma qui siete tranquilli tutti e due?
Sì. Al momento non abbiamo problemi a livello di sicurezza e di lavoro; l’unica preoccupazione rimane quella della nostra diaspora. Non c’è nessuna certezza in merito. Zhara vuole tornare in Afghanistan e non ha intenzione di abbandonare tutto quello che ha costruito, il suo mondo, le persone… Ma oggi, purtroppo, il ritorno a casa resta un desiderio e una speranza.
Se vi capiterà di passare in queste settimane da Venezia, e fare un salto all’Oriente Experience, troverete sia Hamed sia Zhara.
Assaggiate per noi riso, cous cous o ravioli afghani con lenticchie, yogurt, cipolle caramellate, oppure spinaci con ceci, formaggio e yogurt, pollo con panna, hummus, dolci particolari come la Muhallabia – un budino di riso con acqua di rose e mandorle – e diteci come li trovate.
Marta Pietroboni